METALITALIA.COM FESTIVAL 2019 – 1° giorno
01/06/2019 – Live Music Club – Trezzo sull’Adda (MI)
Running order e programma meet&greet:
Introduzione
Squadra che vince non si cambia… più o meno. L’ottava edizione del nostro festival si presenta carica di solide conferme e qualche novità: la cornice è ancora una volta quella del rodatissimo Live Club di Trezzo sull’Adda, da sempre teatro imprescindibile del festival neroverde, mentre a livello temporale ci siamo spostati (o potremmo dire che ‘siamo tornati’) da settembre a maggio, come nei primi anni. Inalterati rimangono anche vari punti a livello logistico-organizzativo, fiori all’occhiello dell’offerta del locale: la presenza del corposo e sempre più nutrito Metal Market, la varietà della proposta gastronomica (con un occhio di riguardo veg) con Beergarden incluso (qui tutti i dettagli) e – per i fan più sfegatati – l’appuntamento per i meet&greet con moltissime delle band presenti.
A livello musicale, dopo due anni di alternanza tra le varie declinazioni del power (et similia classicheggianti) e le sonorità più sulfuree ed oscure, quest’anno abbiamo scelto di virare leggermente, portando in cartellone delle proposte lievemente diverse e dai contorni meno definiti rispetto ad alcuni bill passati. Ecco allora che questo sabato vedremo l’alternarsi di chicche come lo show speciale dei Darkane (che riproporranno tutto “Rusted Angel” in occasione del ventennale dalla sua pubblicazione), le proposte più sinfoniche e barocche di Genus Ordinis Dei, Graveworm e Fleshgod Apocalypse (alla prima presentazione live del nuovissimo “Veleno”) e il death metal spruzzato di -core dei The Modern Age Slavery, passando per l’epicità battagliera degli Stormlord, la violenza dei The Crown e giungendo al gran finale delle bordate da guerriglia urbana lanciate dagli Arch Enemy.
In leggero ritardo sulla tabella di marcia, si aprono quindi le porte dell’ottava edizione del Metalitalia.com Festival; vi aspettiamo al nostro stand (quest’anno situato nell’area esterna del locale) e vi invitiamo a posizionarvi davanti al palco per inaugurare questa intensa giornata in compagnia dei Genus Ordinis Dei!
(Luca Pessina)
GENUS ORDINIS DEI – 14:00/14:40
Provenienza: Crema, Italia
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Il ruolo di opener è sempre il più difficile, specie se inserito nel contesto di un bill che vedrà alternarsi pilastri (Arch Enemy, Fleshgod Apocalypse) e leggende (The Crown, Darkane) della scena metal mondiale. Incuranti dei paragoni e facendo leva su una gavetta di tutto rispetto, i Genus Ordinis Dei interpretano nel migliore dei modi la parte a loro assegnata, sciorinando con disinvoltura e compattezza il mix di Goteborg sound, metalcore e sinfonie bombastiche che ne contraddistingue la proposta. Musica che, quando supportata da suoni decorosi (come quelli odierni) e da un songwriting attento a non sfociare nella mera ruffianeria, si presta puntualmente a rompere il ghiaccio, trovando la giusta quadra tra aggressività e orecchiabilità e mettendo il pubblico nelle condizioni di scaldarsi in vista dei pezzi forti della giornata. Incentrato per buona parte sui brani dell’ultimo full-length “Great Olden Dynasty”, vecchio ormai di due anni, lo show del gruppo cremonese scorre quindi trascinato dalla verve del cantante/chitarrista Niccolò Cadregari e dalla solidità del guitarwork e della sezione ritmica, abili a non complicarsi la vita e a perseguire innanzitutto la via dell’impatto, con evidenti rimandi al groove enorme di Lamb Of God e Gojira e alle inflessioni catchy di Mikael Stanne e compagni. Quel che si dice un buon inizio, immortalato dalla sempre efficace cover di “Hail and Kill” dei Kings of Metal Manowar.
(Giacomo Slongo)
THE MODERN AGE SLAVERY – 15:00/15:40
Provenienza: Reggio Emilia, Italia
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Lavorando con calma e senza il timore di allargare a poco a poco i loro orizzonti stilistici, i The Modern Age Slavery hanno saputo diventare una piccola certezza in materia di ‘modern’ death metal e sonorità al cardiopalma. La loro proposta tecnica, brutale e adrenalinica, non priva di inflessioni -core, è ciò che occorre per entrare definitivamente nel mood ‘da festival’ del weekend, con brani che sembrano pensati appositamente per aprire voragini nel pit e non lasciare scampo a chi si trova nelle immediate vicinanze. Un cocktail affinato sapientemente nel corso di tre full-length e che trova nella setlist di oggi un riscontro di notevole ferocia e confidenza nei propri mezzi, guidato da una line-up ormai scioltissima sia nell’esecuzione che nella tenuta del palco. Nell’insieme, spicca senza dubbio il frontman Luca Cocconi, abile nel muoversi tra diverse sfumature del growling e dello screaming e a mantenere sempre alta la tensione; ma è appunto l’intero gruppo emiliano a non prestare il fianco a critiche, ripercorrendo i punti salienti della sua carriera (con un occhio di riguardo per l’ultimo, symphonic-oriented “Stygian”) e togliendosi lo sfizio di aizzare i presenti all’urlo di ‘God hates us all!’ (dalla cover di “Disciple” piazzata a tradimento a metà setlist). Tra Aborted, Decapitated, The Red Chord e Fleshgod Apocalypse, i The Modern Age Slavery mettono quindi a segno il secondo colpo grosso della giornata, con un breakdown finale da cervicali spaccate. La palla passa ora ai capitolini Stormlord e alle loro visioni battagliere…
(Giacomo Slongo)
STORMLORD – 16:00/16:50
Provenienza: Roma, Italia
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Gli Stormlord fanno il loro ingresso sul palco del Metalitalia.com Festival per presentare al pubblico “Far”, recentissima prova discografica che arriva dopo sei anni di attesa. La proposta della band si incastra benissimo nella giornata dedicata alla violenza sonora, pur mantenendo ben salde quelle coordinate che la contraddistinguono: un approccio battagliero, fiero ed epico, che si nutre della nostra tradizione, solcando ora il Mar Mediterraneo, ora l’Egeo. La band, veterana di tanti concerti, appare perfettamente a suo agio sul palco, con Cristiano Borchi a urlare nel microfono tra grugniti death metal e lo screaming di scuola black, mentre il bassista Francesco Bucci si fa carico di incitare il pubblico, coinvolgendolo in cori ed invitando tutti a partecipare attivamente alla performance. Lo spettacolo si apre con “Leviathan”, seguita a ruota da “Dance Of Hecate”, e da lì é un susseguirsi di leggende e miti, che spesso sfociano nella celebrazione della nostra Storia e della nostra Cultura, come nel caso di “Mare Nostrum”, che narra delle guerre tra Roma e Cartagine. Ottimo il bilanciamento dei suoni, che riesce a valorizzare ogni strumento e, sopratuttto, non affossa le tastiere, elemento centrale nel sound degli Stormlord, capace di far emergere l’atmosfera arcana e talvolta esotica (come nel caso di “Legacy Of The Snake). Non a caso, il tastierista Riccardo Studer è posizionato in prima fila e sfoggia spesso una keytar che gli permette di affiancare più liberamente basso e chitarra. La scaletta si divide in maniera efficace tra episodi già rodati ed altri recentissimi: tra questi ultimi apprezziamo in particolar modo la title-track, “Far”, e l’ottima “Crimson”, che mostrano come la lunga attesa non sia stata vana. Il pubblico del Live Club appare coinvolto e, al termine dell’esibizione, tributa un doveroso e sentito applauso alla formazione romana. Nel corso della giornata ci saranno momenti più veloci, violenti e aggressivi, ma certamente l’esibizione degli Stormlord ci ha messo nello stato d’animo migliore per proseguire questa prima, adrenalinica giornata.
(Carlo Paleari)
GRAVEWORM – 17:10/18:10
Provenienza: Bruneck/Brunico, Italia
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La singolare ‘sfida’ Italia-Svezia giunge così a fine primo tempo. Dopo i primi tre show italici, infatti, a scendere in campo per la formazione tricolore ci sono i bolzanini Graveworm, autori di un black metal dalle tinte melodiche e dipinte di gothic. Elementi atmosferici che, tuttavia, per il set dedicato al Metalitalia.com Festival, vengono accantonati a favore di quei brani bollati da sonorità più estreme e tirate. Uno show iniziato in leggera sordina a livello di affluenza ma che, nel corso dei minuti, ha richiamato maggior pubblico. Merito sicuramente del quartetto made in Brunico il quale, forte di una carriera pluriventennale, ha avuto modo di spaziare lungo tutta la propria discografia. Tra i dischi più gettonati ha sicuramente preso il sopravvento l’ultimo partorito in ordine di tempo, “Ascending Hate”, dal quale vengono proposte la coinvolgente “Blood, Torture And Death”, l’isterica “Downfall Of Heaven” e la poderosa “To The Empire Of Madness”. I Nostri badano molto alla sostanza e, invece di parole, preferiscono sputare addosso alla folla, cresciuta nel frattempo, una mole di sfuriate black, in stile ‘filthiane’, alternandole a possenti mid-tempo di sicuro impatto. Plauso particolare al frontman Stefan Fiori, autore di una prova inossidabile: dagli scream più acuti ai growl più cavernosi, l’imponente vocalist è stato in grado da una parte di valorizzare ulteriormente i pezzi proposti, dall’altra di coinvolgere un pubblico che alla fine ha risposto più che positivamente alla prestazione della band. A chiudere la setlist, una interpretazione personalissima e nel contempo ben riuscita del classico ‘maideniano’ “Fear Of The Dark”. Senza fronzoli si sono dimostrati i Graveworm, un minicingolato di sicuro impatto e valore. Ed ora prepariamoci: il terreno di gioco si tinge di giallo-blu. Arrivano i Darkane!
(Andrea Intacchi)
DARKANE – 18:30/19:30
Provenienza: Helsingborg, Svezia
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Se è vero che ogni anno al Metalitalia.com Festival trovano spazio show speciali e scalette particolari, quest’anno una delle chicche più succose in programma è senza dubbio la celebrazione di “Rusted Angel”, splendido lavoro che raggiunge proprio nel 2019 i vent’anni d’età. Rispetto ad altre formazioni, i Darkane non hanno raggiunto la fama meritata, in proporzione alla qualità della loro proposta, e anche il pubblico del Live Club appare diviso all’inizio del concerto, tra coloro che considerano questo show uno dei più interessanti della giornata e chi si aggira semplicemente incuriosito dalla proposta di un gruppo storico, certo, ma non arcinoto. Tocca alle canzoni riempire questo iniziale gap e l’obiettivo viene raggiunto rapidamente. “Rusted Angel”, infatti, suonato dall’inizio alla fine, si conferma per quello che è: un capolavoro. Il gioco di suonare un disco nella sua interezza può essere rischioso di fronte ad una qualità altalenante, ma “Rusted Angel” non corre questo rischio. L’iniziale “Convicted”, “Bound”, la title-track o la spettacolare “July 1999” si abbattono sul pubblico che, ben presto, inizia a rimescolarsi, scatenando focolai di mosh selvaggio lungo tutto il set. I Darkane, da parte loro, a dispetto di una presenza scenica piuttosto compassata, non si risparmiano, macinando riff taglienti e affilati, assoli sferzanti e un drumming martellante che non dà sosta. D’altra parte uno dei principali pregi della band svedese è proprio quella di riuscire ad unire melodie efficaci ad una trama articolata, nervosa e allucinata, che non concede nemmeno un centimetro a quella banalità che in molti altri act è finita per standardizzarsi in un sound sempre uguale a sé stesso. Performance strumentale impeccabile e buonissima anche a livello vocale, sebbene, comprensibilmente, il frontman Lawrence Mackrory appaia più contenuto per poter gestire al meglio la performance dal vivo. Terminati i quaranta minuti e rotti che costituiscono la riproposizione di “Rusted Angel”, gli svedesi concedono al pubblico ancora un paio di estratti della loro discografia, “Chaos Vs Order” ed “Innocence Gone”, due episodi forse non allo stesso livello di quanto ascoltato precedentemente, ma che, per contro, giocano su una maggiore immediatezza ed impatto. La platea scapoccia soddisfatta mentre viene percossa dalle ritmiche monolitiche della band che si congeda tra le acclamazioni del pubblico. Corna al cielo, un abbraccio collettivo, una foto ricordo e adesso è il turno dei The Crown.
(Carlo Paleari)
THE CROWN – 19:50/20:50
Provenienza: Trollhättan, Svezia
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‘Destroy, destroy, destroy’. Ok, ora potete anche raccogliere ciò che avete perduto o, nei peggiori dei casi, ricomporre ciò che avete demolito. Già, perché lo show dei The Crown può essere riassunto in tre sole parole: un massacro sudorifero. C’era molta attesa, infatti, per la calata della death-thrash band svedese sul suolo italico: una presenza, quella del gruppo scandinavo, che mancava da qualche tempo. Ed è anche per questo motivo che, tolti gli headliner, molta gente si è recata in quel di Trezzo proprio per assistere alle bombe esplose dall’act di Trollhattan. Miccia che viene immediatamente accesa dalla opening track dell’ultimo album “Cobra Speed Venom”, “Destroyed By Madness”: pezzo roccioso, granitico, utile per settare l’amalgama e l’ugola del buon Johan Lindstrand. Un primo pugno in faccia seguito da un’immediata raffica al basso ventre: “Deathexplosion” non ha certo bisogno di celebrazioni e basta quel riff energico a rispedire indietro di vent’anni la memoria di chi sta scrivendo e di molti dei presenti al di qua delle transenne, a celebrazione di quel “Deathrace King”, memorabile e, ormai, inarrivabile. Tellurica la coppia Olsfelt-Axelsson, letale il duo Tervonen-Sorqvist, un macigno lo stesso Lindstrand, il quale dall’ultimo album richiama la più ‘cadenzata’ “Iron Crow”. Un breve respiro prima di tornare a QUEL full-length e schiaffarci in pieno volto la corale “Blitzkrieg Witchcraft”. Non c’è tregua ed eccola “In The Name Of Death”, con Lindstrand che sputa tutta la propria rabbia vocale mentre arringa con il suo ‘Feel the noise’. La folla sotto il palco è compatta nel moshpit tanto che è lo stesso frontman svedese a chiederci, con fare da sornione, ‘are you still alive?’. Eh, per forza, perché in programma ci sono altre detonazioni senza il minimo sconto, a partire da “Back To The Grave” sino alla direttissima “Face Of Destruction/Deep Hit Of Death”. Mancavano i The Crown, mancava uno show massiccio e fulmineo come questo. La band non cede un passo e, dopo aver giocato ad una sorta di applausometro con i fan su chi fosse meglio tra il ‘devil’ e il ‘jesus’, parte una sentita “Total Satan”, lasciando le battute finali alla definitiva “1999-Revolution 666”. Il telone dei The Crown scende con “Zombified” e gli applausi sono tutti per loro. ‘Destroy, destroy, destroy’. Recuperate le forze, attendiamo i Fleshgod Apocalypse.
(Andrea Intacchi)
FLESHGOD APOCALYPSE – 21:25/22:55
Provenienza: Perugia/Roma, Italia
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Trovare parole nuove per descrivere l’ascesa dei Fleshgod Apocalypse da realtà prettamente underground a nome di punta di certo extreme metal mondiale comincia a diventare impresa ardua. In circa un decennio i Nostri si sono resi protagonisti di un’evoluzione che, passando da sforzi produttivi sempre più consistenti (basti pensare all’imponente scenografia messa in piedi questa sera) a contaminazioni massicce con l’universo sinfonico, ha messo loro nelle condizioni di abbracciare un pubblico eterogeneo e trasversale, che anche in quel del Metalitalia.com Festival 2019 sembra seguirli indefessamente, pendendo dalle labbra e dai gesti del leader maximo Francesco Paoli. La band calca quindi il palco con il fare di chi non ha più nulla da dimostrare a nessuno, ben oliata dopo le recenti tournée con Hypocrisy e Wolfheart e pronta a presentare ufficialmente i brani del nuovo “Veleno”, uscito la scorsa settimana su Nuclear Blast. Consapevole del lungo minutaggio a propria disposizione, il sestetto si prende però il suo tempo prima di sciorinare i nuovi singoli (davvero ottima la resa di “Sugar”, la quale si conferma la traccia principe del recente repertorio), e parte così in una retrospettiva bombastica che lo vede attingere da (quasi) tutti i suoi dischi, “Mafia” escluso. Dalle ritmiche rocciose di “Cold As Perfection” agli acuti dell’opener “The Violation”, passando per gli spasmi frenetici della vecchia “Requiem in SI Minore” e l’epicità romantica della conclusiva “The Forsaking”, la setlist scorre in un profluvio ormai noto di orchestrazioni e bordate tra capo e collo, trascinata dal carisma del succitato frontman e dall’assoluta confidenza degli altri musicisti sul palco. Paradossalmente, solo la cover della stranota “Reise, Reise” dei Rammstein viene accolta in maniera più tiepida del previsto, a riprova – forse – della credibilità dell’Apocalisse del Dio di Carne da queste parti. In definitiva, uno slot da co-headliner ampiamente meritato.
(Giacomo Slongo)
ARCH ENEMY – 23:30/01:00
Provenienza: Halmstad, Svezia
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Dopo una giornata di spietato metallo pesante, tocca infine agli Arch Enemy dare il colpo di grazia al pubblico del Live Club. Concluse le chiacchiere intorno allo scivolone comunicativo intorno al diritto d’autore, si torna a parlare di musica con il nuovo tour europeo, che esordisce proprio con la data del Metalitalia.com Festival. Gli Arch Enemy salgono sul palco e si buttano immediatamente su “The World Is Yours”, primo dei numerosi estratti da “Will To Power”. La band è in forma e si nota velocemente come una bella fetta del pubblico sia qui questa sera soltanto per loro: il calore dell’audience è palpabile e il grado di coinvolgimento è indubbiamente il più alto della giornata. Gli Arch Enemy rispondono a questa accoglienza con uno spettacolo sparato a mille, praticamente privo di pause e professionalissimo. La sezione ritmica di Daniel Erlandsson e Sharlee D’Angelo picchia senza sosta e pone una base solida su cui si poggiano le rasoiate di Michael Amott e Jeff Loomis. Quest’ultimo, in particolare, appare sempre più integrato nella sua nuova band, iniziando progressivamente ad emergere, sebbene non ancora come protagonista, come avveniva invece nei Nevermore. A dominare la scena, però, c’è lei, Alissa White-Gluz, un piccolo ciclone azzurro che catalizza lo sguardo del pubblico, non solo per la sua bellezza, che indubbiamente l’aiuta, ma soprattutto per le doti espresse sul palco. La voce c’è, ma soprattutto c’è la capacità di guidare il pubblico con i gesti, l’interpretazione e il suo fare teatrale. E qui emerge l’altro aspetto evidente nella performance degli Arch Enemy: quello a cui assistiamo è uno spettacolo perfettamente rodato, misurato in ogni suo aspetto, curato senza lasciare nulla al caso, dalle uscite coordinate tra un pezzo e l’altro, ai movimenti dei due chitarristi, che si avvicinano per le parti all’unisono, fino all’inchino finale, perfettamente coordinato per cadere nel giusto momento dell’outro, dopo la consueta foto di rito. Di fronte ad uno show così curato non si può che rimanere soddisfatti: le canzoni più recenti, come “First Day In Hell” o “The Eagle Flies Alone”, che pure non rappresentano la vetta artistica del gruppo, guadagnano una marcia in più, mentre episodi come “Ravenous”, “My Apocalypse” e la conclusiva “Nemesis” scatenano un vero e proprio putiferio, con una parte del pubblico che, dalle retrovie, si catapulta in avanti per buttarsi nella mischia. Gli Arch Enemy mitragliano il proprio pubblico per più di un’ora e mezza e, nell’entusiasmo generale, fanno calare il sipario sulla prima giornata della nuova edizione del Metalitalia.com Festival. Oggi sono state macerie e distruzione, ma domani tocca all’hard rock, sanguigno, figlio della strada, con tutte le sue tentazioni. Vi aspettiamo!
(Carlo Paleari)
pubblico
METALITALIA.COM FESTIVAL 2019 – 2° giorno
02/06/2019 – Live Music Club – Trezzo sull’Adda (MI)
Running order e programma meet&greet:
Introduzione
Ci siamo lasciati alle spalle un sabato carico e intenso ma, non paghi, abbiamo voluto prolungare il divertimento, per il terzo anno di fila, alla domenica. Complice una giornata assolata e la calda atmosfera da ‘festa del Grazie’ (a voi cogliere la citazione), il Live Club è pronto a offrire il pieno delle proprie potenzialità per l’esterno.
Per una volta abbiamo ceduto al rock’n’roll stradaiolo e per la giornata di oggi abbiamo preparato un bill più scanzonato e all’insegna dell’hard & heavy, affiancando le nuove leve, come i nostrani Speed Stroke, a vandali veterani e caciaroni come Bad Bones ed Hell In The Club; a colossi dello sleaze come Hardcore Superstar e Crazy Lixx il compito di rendere sfrenati i presenti con il loro fare da adorabili cazzoni, mentre ci prepariamo ad acclamare veri e propri stilemi storici di tutto un genere quali i Rain, la leggenda Phil Campell (chitarra dei Motorhead ed ora di nuovo in strada con i suoi Bastard Sons) e gli immensi Gotthard.
Pronti per l’hard rock più scafato? Si aprono le porte: vi lasciamo al concerto dei Bad Bones!
(Sara Sostini)
BAD BONES – 13:45/14:25
Provenienza: Mondovì, Italia
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Il secondo giorno del Metalitalia.com Festival si apre all’insegna dell’adrenalina grazie agli italiani Bad Bones. L’affluenza del pubblico, a dire il vero, non è ancora soddisfacente, ma i pochi sotto il palco sono pronti a farsi travolgere da una corazzata hard rock di livello indiscusso. Max Bone e compagni attaccano subito a tutto volume, con “Don’t Stop Me” e “Midnight Rider”, due cannonate suonate in modo impeccabile e coinvolgente. Non sembra nemmeno di essere a Trezzo sull’Adda, perchè grazie alla loro musica i Bad Bones ci fanno viaggiare con la mente fino al Sunset Strip, nell’America degli anni d’oro del rock’n’roll. L’eredità di grandi band come Ac/Dc e Motley Crue è stata recepita alla perfezione da questi quattro musicisti, veri animali da palcoscenico che sanno benissimo come gestire lo stage, proprio come i veri professionisti. Il gran finale viene affidato alla dirompente e corale “Bad Bone Boogie”, altro pezzo grintoso che trasuda sudore, sangue ed energia in ogni sua nota. La band coinvolge il pubblico e gli fa cantare il ritornello, alla cara, vecchia maniera. Con i saluti di rito, i Bad Bones lasciano il palco tra applausi e tanta soddisfazione generale. Il compito di aprire alla grande questa seconda giornata è stato svolto benissimo. Dieci e lode.
(Andrea Raffaldini)
SPEED STROKE – 14:40/15:20
Provenienza: Imola/Bologna/Cesena, Italia
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Che bello dar fuoco ad un pomeriggio già bollente con una sana dose di energia sudorifera e adrenalinica! Di fronte ad un pubblico ancora leggermente immobile ci pensano gli Speed Stroke from Imola Tennent’s See, come sottolineato in più di un’occasione dal frontman Jack, a far muovere teste e deretani. Il loro hard rock in formato glam prende tutti per mano portandoci on stage insieme alla pazza voglia di divertirsi. Ed è questa, infatti, la sensazione che si respira lungo tutto il set previsto: divertimento assicurato, tanta passione e coinvolgimento. Pronti via e si parte con l’energica “Age Of Rock’n’roll”, così, giusto per sgranchirsi le ossa. Tutta la band cavalca il palco interagendo continuamente con la folla dove, tra gli altri, vi è pure un gruppetto di aficionados che non smette di sgolarsi già dalle prime note. Si passa all’ultimo album “Fury” con “The End Of This Flight” e l’alcolica “Demon Alcohol”, sicuramente una delle tracce più poderose in sede live. E’ lo stesso Jack, poi, a presentare un brano ‘strappamutande’, e per qualcuno dei presenti anche strappalacrime, la trascinante “From Scars To Stars”. Ringraziati gli astanti per essere accorsi a questa data dopo un periodo di assenza dovuto alla stesura del nuovo album, ringraziato il Metalitalia.com Festival ‘per averci sverginato di brutto’ (parole del frontman imolese), ecco proprio una chicca dal full-length di prossima uscita, “The Scene Of Crime”. Emozioni, baci e abbracci, quelli che accompagnano lo show degli Speed Stroke fino alla conclusiva “Believe In Me”, prima che lo stesso Jack, vero animale da palco, venga ‘steso’ da un calcio alla Shawn Michaels del chitarrista. Foto di gruppo, ancora applausi e tutti a bere, in attesa dei Rain.
(Andrea Intacchi)
RAIN – 15:40/16:20
Provenienza: Bologna, Italia
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Padre, figlio e Spirito Santo, la Sacra Trinità. Birra, rock’n’roll e belle donne, questa è invece la triade definitiva della musica che i bolognesi Rain hanno portato sul palco del nostro festival. Con “Love In The Back”, Amos ed il suo equipaggio di pirati hanno incendiato il palco caricando al massimo i presenti; ma subito dopo sono state le Dirty Diana – quartetto di pole dancer che sempre più spesso segue la band – ad alzare il livello ormonale con i loro balli sexy, ma altrettanto professionali e di grande qualità. I Rain hanno suonato uno dopo l’altro una serie di brani incazzati ed altamente heavy metal, con tanto di omaggio ai Megadeth grazie ad una devastante versione di “Peace Sells”. Secondo ingresso per le Dirty Diana, questa volta vestite da procaci poliziotte, e a ben vedere, durante il loro siparietto, le foto si sono sprecate: alla fine però è la musica che conta e la formazione bolognese ha dato una forte sferzata di heavy metal alla giornata, finora incentrata su sonorità più prettamente hard rock. Sul palco la band si diverte e interagisce con i presenti, forte di un’esperienza maturata in tanti anni on the road. Il gran finale è dedicato a tutto il pubblico ed il congedo è affidato a “Only For The Rain Crew”, canzone simbolo per eccellenza del gruppo, che per l’ultima volta in questa calda giornata si fa accompagnare dalle loro ballerine. Un finale col botto per un concerto altrettanto grintoso e piccante da ogni punto di vista.
(Andrea Raffaldini)
HELL IN THE CLUB – 16:40/17:20
Provenienza: Alessandria/Pordenone, Italia
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Si chiude la carrellata di gruppi orgogliosamente italiani della seconda giornata del festival con l’esibizione degli Hell In The Club: il quartetto sale sul palco e si capisce fin da subito che il pubblico è pronto ad esplodere, seguendo l’incitamento del cantante Dave e del glam hard rock proposto dalla band. I primi brani, proposti senza pause, conducono lo show fino a “Bite Of The Tongue”, tratta dall’ultimo “See You On The Dark Side”, e da lì fino alla fine sarà uno scambio continuo con i presenti, sempre ben disposti a seguire la musica quadrata ed incandescente della formazione nostrana: “We Are The Ones”, estratta da “Devil On My Shoulder”, dal quale verrà proposta anche la titletrack, ripercorre in ottima maniera la carriera del gruppo, così come “Rock Down This Place” e la finale “No Appreciation”, estratte da “Let The Games Begin”. Tutto fila liscio e l’entusiasmo sale di pari passo con le mosse del cantante, che non si risparmia di certo nel correre lungo tutto il palco: in attesa dei Crazy Lixx, una piacevolissima performance che conferma lo stato di salute del genere qui in Italia, grazie a gruppi come gli Hell In The Club, fieri di portare in alto il verbo del rock ‘n’ roll.
(Fabio Meschiari)
CRAZY LIXX – 17:40/18:40
Provenienza: Malmö, Svezia
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Irrompe sul palco l’hair metal degli svedesi Crazy Lixx, forti della pubblicazione del loro ultimo lavoro “Forever Wild”, vero e proprio manifesto programmatico che il quintetto ha intenzione di onorare anche oggi sul palco del Live Club. La partenza è subito al fulmicotone con “Wicked”, estratta dalla succitata fatica discografica, che catapulta il pubblico in piena atmosfera anni ’80, sia dal punto di vista del suono globale che da quello dell’immagine e dell’attitudine: il cantante Danny Rexon è in palla ed i cori eseguiti dai due chitarristi e dal bassista sottolineano le melodie calde ed avvolgenti del gruppo. “Blame It On Love” e “Break Out” si susseguono in un evento che fa cantare le prime file a squarciagola anche durante pezzi come “Snakes In Paradise” e “Wild Child”. Il tempo di una pausa e, sulle note della colonna sonora di Rocky, il cantante si ripresenta con una tuta da pilota d’aereo mentre le sei corde ed il bassista esibiscono fieri il torso nudo per “Silent Thunder”: il concerto si conclude con “Heatseeker”, “XIII”, con tanto di maschera di Jason (sì, proprio quello di “Venerdì 13”) indossata da Rexon, e “21 ‘Til I Die”, vero e proprio inno che invita a vivere e pensare secondo il più classico stile rock ‘n’ roll. Quando ci si trova di fronte ad una sana carica nostalgica per un genere che non morirà mai e ad un concerto come quello di oggi dei Crazy Lixx si può ben dire che è un piacere rimanere ventenni (d’animo) fino alla fine dei giorni: per le preoccupazioni ed i problemi ci saranno altre occasioni, ora aspettiamo Phil Campbell ed i suoi Figli Bastardi…
(Fabio Meschiari)
PHIL CAMPBELL AND THE BASTARDS SONS – 19:00/20:00
Provenienza: Pontypridd, Galles (UK)
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Dici Phil Campbell, dici Motorhead. Inutile girarci intorno. Il chitarrista gallese, insieme a Mikkey Dee, ed ovviamente a LUI, è stato per ben trentadue anni uno dei mattoni indiscussi della macchina bombarola dello Snaggletooth. E dal 2016, anche se ‘in pensione’, ha deciso di proseguire la propria vita musicale insieme ai suoi Bastard Sons (Dane, Tyla e Todd) ed al cantante Neil Starr. Forte dell’omonimo EP e del debut album “The Age Of Absurdity”, il gruppo si presenta ad una folla ancora sparuta (molta gente, infatti, è in coda per il meet&greet con gli Hardcore Superstar) con la solida “Big Mouth”, seguita dalla più sorniona “Step Into The Fire”. Ben accolte, non c’è che dire, come pure la qualità singola dei musicisti guidati dallo zio Phil dimostra di avere acquisito ancor di più sicurezza e maturità rispetto agli esordi. Il pubblico tuttavia, nel frattempo rimpolpatosi, pretende anche i brani della vecchia guardia e così, alla domanda ‘Do you know rock’n’roll?’ parte una granitica “Rock Out”, scatenando i primi accenni di pogo a centro palco. Da qui in poi sarà un continuo alternarsi tra pezzi made in Bastard e brani firmati Motorhead. E dopo l’esaltante “Freakshow” è tempo di famiglia, di ricordi, di saltare tutti insieme e cantare a squarciagola “Born To Raise Hell”. Una rincorsa sudorifera prima della ‘blueseggiante’ “Dark Of Ages” con un Phil Campbell decisamente sugli scudi. Si prosegue, la gente aumenta, così come la cappa ‘da calorifero’ all’interno del Live: “Get On Your Knees” anticipa la schizzata “R.A.M.O.N.E.S.”, prima di tornare alla nuova veste di Wizzo (questo il suo soprannome, quando suonava con Lemmy). La rocciosa “Ringleader” accompagna una delle hit più riuscite e riportata in auge, proprio dai Bastard Sons, del periodo psichedelico di Mr. Kilmister (leggasi Hawkwind): ecco l’ipnotica “Silver Machine”. E poi, come da programma, così per creare dello scompiglio tra i presenti, dedicata da Phil a tutti i Motorhead fan sparsi per il mondo, la sola ed unica “Ace Of Spades”. Ancora due bombette nella cartucciera dei Figli Bastardi: la pesante “High Rule” lascia il posto ad un’altra chicca del passato; la sirena spiegata introduce quella “Bomber” che, oltre ad un alto tasso di spasmodica grinta, ci lascia pure un pizzico di commozione per quella sagoma alta e guascona che soleva stanziare alla sinistra del palco con tanto di microfono piegato. Grazie Phil, ancora una volta, tante emozioni. Ed ora inizia la lunga attesa per gli Hardcore Superstar.
(Andrea Intacchi)
HARDCORE SUPERSTAR – 20:30/22:00
Provenienza: Göteborg, Svezia
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La formazione di Göteborg è oramai di casa nella penisola italica, e già dal cambio palco i cori si sprecano. Per non meglio precisati problemi tecnici, però, lo show viene ritardato di ben quarantacinque minuti: le acclamazioni si mischiano ai fischi, ma quando le prime note dell’intro “This Worm’s For Ennio” rotolano fuori dagli amplificatori del Live, il pubblico sembra dimenticare i minuti di attesa. La partenza è tutta al fulmicotone per Jocke Berg (stavolta fortunatamente privo di baffetti) e soci con la lanciatissima “Moonshine”. Il locale diventa istantaneamente vischioso di sudore con “Electric Rider”, ma è sul grandissimo classicone “We Don’t Celebrate Sundays”, cavallo di battaglia degli svedesi, che lo show decolla con un’impennata pazzesca. Le corde del cantante – che all’inizio aveva abbassato di qualche tono la performance – tornano subitamente in forma, mentre corre come un ossesso su e giù dal palco, sul bancone del bar e si cimenta in rischiosissimi salti in spaccata dalla batteria; il resto della band non è da meno: nonostante i numerosi cambi di strumenti della coppia d’asce (presumiamo dovuto all’umidità sudorifera), gli Hardcore Superstar affermano con prepotenza la loro attitudine sleaze e giocosamente ignorante, regalando una performance carica di cuore; “My Good Reputation” e “Wild Boys” vengono salutate con un calore ed un trasporto che mettono le ali ai piedi alla band: memori delle innumerevoli calate un po’ ovunque in Italia, i Nostri conoscono il loro pubblico e lo lasciano cantare, dedicandogli la ruffianissima “Someone Special”. Il meglio, però, deve ancora venire: qualunque fan degli HCSS sa che giunge il momento della campanella perentoria, lo aspetta apposta per poter urlare ‘I need a drink, I need it now’ con tutto il fiato che ha in corpo, e “Last Call For Alchool” non tarda a presentarsi, con tanto di invasione di palco e fiumi di Jägermeister, soprattutto a spese di una futura sposa (impossibile non notare lei e le sue ‘guardie del corpo’ in bianco, rosa e corni di unicorno in giro per il festival). Con la titletrack dell’ultimo album, “You Can Kill My Rock’N’Roll”, non ci sono più freni, nè regole: i quattro corrono come indemoniati, si scambiano di posto, si lanciano nel pubblico oramai in delirio. Il tempo di tirare un attimo il fiato e l’intro di “Kick On The Upperclass”, dall’omonimo full-length (invero invecchiato benissimo), riporta il Live a dimenarsi fuori da ogni grazia possibile, quasi a voler mostrare quell’orgogliosa arroganza da classe operaia, menefreghista e stradaiola. Applausi, diti medi alzati ed un pubblico che non finisce di saltare e dimenarsi, tributando onori di solito riservati agli headliner, salutano gli Hardcore Superstar su “Above The Law”, che, quasi a farsi perdonare del ritardo accumulato, si profondono in inchini e ringraziamenti ripetuti. Riusciranno i Gotthard a fare di meglio?
(Sara Sostini)
Setlist:
This Worm’s for Ennio
Moonshine
Electric Rider
We Don’t Celebrate Sundays
Liberation
My Good Reputation
Wild Boys
Someone Special
Last Call for Alcohol
You Can’t Kill My Rock’n’Roll
Encore:
Kick on the Upperclass
Bring the House Down
Above the Law
GOTTHARD – 22:30/00:00
Provenienza: Lugano, Svizzera
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Con sorrisoni ed abbracci si chiude l’ottava edizione del Metalitalia.com Festival. Merito dei Gotthard e del loro hard rock fatto di poesia e tanta, tanta energia. Ci si chiedeva se la formazione svizzera sarebbe riuscita a fare meglio degli Hardcore Superstar. Diciamo che, se per presenza di pubblico gli svedesi ne escono vincitori, complici anche un ritardo accumulato e il fatto che domani è lunedì e quindi molta gente ha preferito rincasare prima, dal punto di vista tecnico e di prestazione globale la band di Leo Leoni ha portato a casa un signor concerto. Uno show condito sotto tutti gli aspetti: brani più tirati sono andati a braccetto con pezzi acustici e più raccolti. Tutti comunque con un unico comune denominatore: la passione. Che si respira sin dalle prime note di “Bang”, con il quale il sestetto più coriste di Lugano si presenta ai fan del Live. La presa è immediata e sale di colpo con l’energetica “Electrified”, in cui lo stesso Leoni si ritaglia una parte da protagonista, e soprattutto con la storica “Hush”. Il pubblico risponde per le rime, acclamando il gruppo con i primi cori da stadio. Il buon Nic Maeder, da par suo, prosegue nel coinvolgere la folla annunciando la prossima uscita di un nuovo album prima della sentita “Stay With Me”. La discografia dei Gotthard permette di spaziare in quasi trent’anni di carriera: si passa da “Feel What I Feel” a “Top Of The World”, prima di un breve ma efficace assolo di Danny Loeble, batterista degli Helloween preso in prestito dalla band svizzera per le date live. E a proposito di prestazioni singole: dopo il passaggio tastieristico di Ernesto Ghezzi, lo show prende una piega più acustica con “Remember It’s Me” e la strappalacrime “One Life, One Soul”. Il treno dei Gotthard ha ormai intrapreso il binario dritto per dritto e, dopo “Heaven”, è lo stesso Maeder ad imbracciare la chitarra per la partenza di “Starlight” e la coinvolgente “Right On”. La setlist è alle battute conclusive: i Nostri divertono e si divertono on stage, lanciando il classicone “Mountain Mama” e la coralissima “Lift U Up”. Arrivano i saluti al pubblico ma è solo un breve arrivederci: all’appello manca ancora un brano e tutti i fan sanno benissimo di quale si tratta, l’anthemico “Anytime, Anywhere”. Poi è una serie di ringraziamenti e di nuovi saluti.
Un grazie sincero a tutti coloro che hanno partecipato alla seconda giornata del Metalitalia.com Festival e, in generale, ai metallari che hanno preso parte alla nostra due-giorni. Alla prossima!
(Andrea Intacchi)
Setlist:
Bang
Electrified
Hush
Stay With Me
Feel What I Feel
Top Of The World
Sister Moon
Remember It’s Me
One Life, One Soul
Heaven
What You Get
Starlight
Right On
Mountain Mama
Lift U Up
Encore:
Anytime, Anywhwere
pubblico: